La città ribolle fin dalle prime luci dell’alba. C’è chi si affanna per un caffè da passeggio, chi per raggiungere il proprio posto di lavoro, chi per andare a scuola. Il secondo conflitto mondiale alle spalle e la dirompente forza economica americana di fronte. Questo si legge grazie ai giornali. Una società del tutto appagata con elettrodomestici, benessere e macchine alla moda ma ferita nel profondo da deflagrazioni, ustioni, ferite ed incubi che solo un guerra può generare. Si cavalca l’onda, direbbe qualcuno. Si sopravvive e male, sussurrerebbe qualche anziano più in là, oltre il quartiere bene dopo il ponte che sovrasta i depositi portuali. In un piccolo studio fumoso, al quarto piano di un palazzo della prima periferia, un giovane ragazzo beve del caffè e sospira ammirando questo inarrestabile formicaio umano. È un giovane matematico di 35 anni, nato a sud della a Cherokee, Iowa, in una piccola fattoria. Il suo nome è Benjamin Francis Laposky ed è un matematico americano.
Il suo studio era un vero e proprio luna park di creazioni incredibili anche se lui, probabilmente, l’avrebbe chiamato semplicemente laboratorio: macchine elettroniche con luci psichedeliche e cavi lunghissimi che solcavano il pavimento in acero scuro, qua e là elaboratori informatici primordiali che facevano più rumore che altro, torri di carte e cartacce ricche di pensieri, studi, appunti ma soprattutto visioni. Sì, perchè a Benjamin non bastava tutto questo e voleva andare oltre. Si fece aiutare anche da un suo caro amico, di origine tedesche, che abitava poco più in là. Un certo Manfred Frank. Di lui si conosce poco, ma una cosa li accomunava: la sete di ricerca.
Spinti da quel grande motore umano chiamato curiosità, scrissero centinaia di pagine di appunti. Poi ancora e ancora. Forse ne strapparono altrettante, prima di arrivare alla loro mirabolante creazione. Nel 1950, Benjamin Francis Laposky realizza il suo primo oscillogramma. Un apparecchio capace di realizzare forme geometriche monocromatiche grazie a formule matematiche immesse precedentemente in un oscilloscopio. Il risultato era possibile mostrarlo grazie a proiezioni mediante un tubo catodico. Successivamente, mentre il tutto era in funzione, si poteva modificare l’onda con l’oscilloscopio creando così nuove forme e distorsioni. Il risultato sono forme complesse, articolate, sinuose, che si modificano nel tempo e a seconda della manipolazione umana del oscilloscopio. Tutto questo ha il valore di un vero e proprio atto creativo unico e spesso irripetibile.
Ma ad ogni buon uomo o donna di scienza serve una prova tangibile del proprio elaborato finale. E se nel mondo scientifico esistono le cosiddette pubblicazioni (momento nel quale un team di studiosi pubblica tutti i dati e i risultati di una ricerca in riviste e libri del settore), nel mondo dell’arte esistono le mostre. Fu così che nel 1953 Benjamin Francis Laposky organizza una mostra al Museo Sanford a Cherokee intitolandola “Oscillons” con il sottotitolo “Astrazioni elettroniche”.
Questo episodio consacrerà ufficialmente Benjamin Francis Laposky e Frank Manfred come pionieri dell’arte elettronica. Osservando le loro opere astratte generate da questo oscilloscopio si nota come entrambi erano ampiamente condizionati dal costruttivismo e al razionalismo della scuola Bauhaus. Fu proprio questo incredibile connubio fra arte e tecnologia, fra manipolazione dei dati scientifici ed imperfezione umana a rendere i due veri e propri avanguardisti del mezzo, dello strumento analogico (l’oscilloscopio appunto).
Nel 1956 vince il New York Art Directors Club gold medal per il miglior editoriale dell’anno (Fortune Magazine) e l’anno successivo aggiunge alla sua creazione, uno filtro motorizzato rotante così da rendere cromatiche le sue forme e geometrie a cavallo fra scienza e arte.
Forme naturali si scontrano con lo sfondo scuro del tubo catodico, linee e curve si muovono sinuose su distorsioni e cromie mai viste. Lo stesso autore predilige l’utilizzo di onde sinusoidali, onde quadre e figure di Lissajous tanto da creare una relazione fra spazio e tempo (grazie alla manipolazione dell’oscillatore) e fra ritmo elettronico ed esecuzione dell’opera: infatti secondo la documentazione della mostra, Laposky ha evidenziato un parallelo artistico e concettuale tra le sue forme e la musica: la progenie di quella che tante e tanti di noi chiamano visual music. Per scoprire al meglio la figura pionieristica di Laposky dobbiamo citare una sua dichiarazione datata 1975 nel quale racconta e si racconta:
“Sono entrato nell’arte oscillografica grazie ad un interesse di lunga data per l’arte e per il design derivato direttamente dalla matematica e dalla fisica. Avevo lavorato con il disegno tecnico, geometrico, curve analitiche ed altri calcoli algebrici tanto da creare modelli di linee magiche, da arrangiamenti numerici per me magici tracciati da macchine, modelli a pendolo e così via. L’oscilloscopio mi è sembrato un modo per ottenere una più ampia varietà di forme […] prima non realizzabili. Il mio interesse artistico era verso un certo tipo d’arte come la pittura geometrica astratta, il cubismo, il futurismo. […] L’arte oscillografica potrebbe essere considerata come una sorta di musica visiva, poiché le forme d’onda di base assomigliano alle onde sonore. […] Gli “Oscillons” sono intesi come una forma d’arte creativa.”
Analizzando il pensiero di Laposky possiamo notare un elemento, a mio avviso, centrale: l’opera d’arte è un elemento non più astratto, digitale, etereo e matematico ma reale e possiede una propria vita nello spazio e nella condivisione visiva ed esperienziale. Con essa un processo, quindi, di perenne modifica, cambiamento.
L’ossimoro che si crea è l’eterna lotta fra scienza ed arte, che così facendo, trova un’altra piazza nel quale sfogare tutta la propria inconsistenza: separate e legate ad universi distinti anche se resi paralleli dall’essere umano. Arte e scienza, con la sua espressione nel mondo della tecnologia informatica, si incontrano nuovamente e si comincia già a mormorare di una prossima rivoluzione tecnologica ed estetica.
La digital art dimostra fin da subito, grazie a questo sperimentazione di successo, che è solo l’inizio di una lunga storia che accompagnerà diverse branche della tecnica, dell’arte, della cultura e della comunicazione a modificarsi, a plasmarsi, a diventare liquide, condivise, nere come la pece o trasparenti come l’acqua di un ruscello d’alta montagna.
FONTI / SITOLOGIA / BIBLOGRAFIA
University of Minnesota, USA
Victoria and Albert Museum, London, UK
Medien Kunst Netz – Media Art Net
Compart – Center of Excellence Digital Art
EduEda
Ecologies of Intimacy, Magda Tyżlik-Carver